Roma, Temple University, A word that troubles, a cura di Gaia Bobò. 21 settembre- 14 ottobre 2020
La Gallery of Art, Temple University Rome è lieta di invitarvi all’inaugurazione della mostra A word that troubles, curata da Gaia Bobò, che riunisce le opere di Alessia Armeni, Edoardo Aruta, Emanuele Becheri, Francesco Carone, Alessandra Draghi, Filipe Lippe, Agnieszka Mastalerz e Benyamin Zolfaghari, attivando un dialogo tra artisti italiani e internazionali di diverse generazioni.
Lo scopo dell’esposizione è quello di indagare le modalità di interazione tra verbale e visuale nel contesto della produzione artistica contemporanea, focalizzandosi sulla capacità della parola di complicare l’immagine: di abitarla, dunque, esaltandone limiti, possibilità e contraddizioni, dimostrando la sua capacità di aprire a nuove forme possibili del visibile. Così facendo, si intende recuperare lo schema dialogico del rapporto tra parola e immagine, relazione che ha interessato la storia del pensiero sin dall’antichità, per poi divampare nelle ricerche degli artisti a partire dalle Avanguardie Storiche. Parola e visione si trovano in una condizione di ambiguità in cui l’una diviene la deriva dell’altra. Questa condizione si riflette nell’eterogeneità delle opere esposte: se talvolta la parola emerge sotto forma di composizioni segniche irriconoscibili, in altri casi questa viene evocata nella sua traduzione in immagine o si manifesta nelle sue fattezze originarie come componimento poetico.
La pratica di Alessia Armeni contempla la scrittura come un’estensione segnica di un visibile/sensibile che si sostanzia nella materia pittorica. L’esplorazione delle potenzialità metaforiche del linguaggio conduce lo sguardo verso narrazioni e umori esterni alla materia pur contenendoli entro i confini della stessa, senza mai uscire da una vorticosa, ossessiva investigazione sul colore. La realtà è sottoposta ad una scansione cromatica costante e l’attenzione verso le sue infinitesimali mutazioni si pone come condizione necessaria per rintracciare la misura della sua complessità. Il colore visto è sempre vissuto, agisce come matrice poetica, contenendo in sé diversi mondi e legandosi alle potenzialità immaginifiche dello sguardo che lo riceve. Così i dipinti di Alessia Armeni si presentano come delle sospensioni, degli stralci poetici, che consentono al linguaggio pittorico di compiersi in tutta la sua indicibilità, trascinando la logica verbale nelle trame stesse della pittura. Ali di libellule, neve sporca, notte vedova, scirocco: la parola scritta si scorge appena, leggibile ma discreta. Non indica e non descrive il colore, ma piuttosto lo espande.
Lo scopo dell’esposizione è quello di indagare le modalità di interazione tra verbale e visuale nel contesto della produzione artistica contemporanea, focalizzandosi sulla capacità della parola di complicare l’immagine: di abitarla, dunque, esaltandone limiti, possibilità e contraddizioni, dimostrando la sua capacità di aprire a nuove forme possibili del visibile. Così facendo, si intende recuperare lo schema dialogico del rapporto tra parola e immagine, relazione che ha interessato la storia del pensiero sin dall’antichità, per poi divampare nelle ricerche degli artisti a partire dalle Avanguardie Storiche. Parola e visione si trovano in una condizione di ambiguità in cui l’una diviene la deriva dell’altra. Questa condizione si riflette nell’eterogeneità delle opere esposte: se talvolta la parola emerge sotto forma di composizioni segniche irriconoscibili, in altri casi questa viene evocata nella sua traduzione in immagine o si manifesta nelle sue fattezze originarie come componimento poetico.
La pratica di Alessia Armeni contempla la scrittura come un’estensione segnica di un visibile/sensibile che si sostanzia nella materia pittorica. L’esplorazione delle potenzialità metaforiche del linguaggio conduce lo sguardo verso narrazioni e umori esterni alla materia pur contenendoli entro i confini della stessa, senza mai uscire da una vorticosa, ossessiva investigazione sul colore. La realtà è sottoposta ad una scansione cromatica costante e l’attenzione verso le sue infinitesimali mutazioni si pone come condizione necessaria per rintracciare la misura della sua complessità. Il colore visto è sempre vissuto, agisce come matrice poetica, contenendo in sé diversi mondi e legandosi alle potenzialità immaginifiche dello sguardo che lo riceve. Così i dipinti di Alessia Armeni si presentano come delle sospensioni, degli stralci poetici, che consentono al linguaggio pittorico di compiersi in tutta la sua indicibilità, trascinando la logica verbale nelle trame stesse della pittura. Ali di libellule, neve sporca, notte vedova, scirocco: la parola scritta si scorge appena, leggibile ma discreta. Non indica e non descrive il colore, ma piuttosto lo espande.