Space Oddity , Kunsteverein Kaerten, Kunsterlhaus Klagenfurt, Klagenfurt, Austria
12th January -17th February 2023Curated by Andrea Freiberg -Adriano Napoleon
Artist: Alessia Armeni, Andrea Fraiberg, Marina Paris, Mariel Poppe
12th January -17th February 2023Curated by Andrea Freiberg -Adriano Napoleon
Artist: Alessia Armeni, Andrea Fraiberg, Marina Paris, Mariel Poppe
Exhibition views
Works in the exhibition
Space Oddities – floating in peculiar ways
Un testo di Joseph Imorde
Il tedesco, come ci insegna la linguistica, è una lingua a cui piace abbinare/comporre. Le parole si lasciano unire a piacere. Quanto più il lessema è comune, tanto più grande è la varianza e l’abbinabilità dello stesso. Velocemente si passa dal cosmo (in tedesco Weltraum) allo spazio abitabile (Wohnraum), dalla gamma cromatica (Farbraum) alla profondità di campo (Tiefenraum), dall’effetto spaziale (Raumwirkung) all’esperienza di percezione dell’ambiente (Raumerfahrung) o anche al concetto di spazio (Raumkonzept). Il campo si amplia, se, come accade nel titolo della mostra, entrano in gioco referenze e si viene confrontati con complessi riferimenti a diverse aree culturali, aree che sono piene di connotazioni storiche e di allusioni e associazioni – David Bowie e Stanley Kubrick, i viaggi eroici di Omero, Albert Einstein e Edwin Hubble, la Sojus e l’Apollo13, Yuri Gagarin e Neil Armstrong, la forza di gravità e il suo superamento. Questi ambiti di pensiero e discorso vengono definiti da relatività e relazionalità. Stravaganze, enigmi e magia dappertutto. L‘”azione spettrale a distanza” della correlazione quantistica o l’”energia oscura”, che disperde entropicamente l’universo, i segreti dello spazio subatomico o intergalattico, si accomunano a più conosciuti e vicini “oddities”: la bizzarria dei luoghi urbani o sociali, o l’incanto della rappresentazione e percezione mediatica; un’installazione transitabile lì, “soundscapes” là e a casa ricordi carichi di sentimento. “Space” nella fisica è uno dei problemi completamente irrisolti e anche nell’arte rappresenta una sfida permanente e continuamente da risolvere. L’occuparsi di questo fenomeno multiforme ha bisogno di interpretazioni e semplificazioni. Chi vuole condensare realtà tri- o addirittura quadrimensionali su un campo bidimensionale, non può farlo senza l’uso di tecniche specifiche. Nell’arco della storia retorici (e anche poeti) hanno sviluppato e tramandato la rappresentazione dello spazio. Degli espedienti formali fanno parte fra l’altro l’astrazione, la proiezione, la diagrammatica, ma anche naturalmente tutte le possibili espressioni/varianti di prospettiva e ridimensionamento. Marina Paris usa le rappresentazioni dell’architettura fondate da Vitruvio (icnografia, ortografia e scenografia) mettendole contemporaneamente in movimento. Nell’opera Less than five minutes ci vengono proposte situazioni scenografiche unite a una colonna 4 sonora che offrono immagini sconcertanti, in cui si ha bisogno di inserire questi spazi astratti in realtà proprie e paragonarle a esperienze personali. Il bizzarro come anche la validità di queste immagini consiste, come già detto, nella loro relazionalità. Il nuovo viene sempre messo in rapporto dagli osservatori con qualcosa di conosciuto e il fascino attuale viene messo accanto alle scorte di avvenimenti e ricordi passati. L’effetto delle opere di Mariel Poppe Mauerfragmenten (frammenti di muro) e Fake Towers si basa in questo senso su un processo cognitivo di negoziazione. “Odd” (bizzarra) ci appare la monumentalizzazione del piccolo, quando nelle opere di Poppe si cercano somiglianze nel proprio vissuto e per questo si constata la rottura della norma, che si offre allo sguardo interiore come assoluta novità. Senza dubbio questi processi di conformazione sono idiosincratici e nella quotidianità assumono una funzione di difesa. I paragoni rappresentano meccanismi di riduzione del dispendio di forze. Con il patrimonio di immagini, che diventa sempre più ampio, l’individuo cerca di immunizzarsi da impressioni esterne scomode e inopportune. Ci si tiene alla larga da ciò che provoca turbamento e da ciò che ci minaccia. La dialettica di questo psicoigienico sistema di filtraggio in relazione alle immagini viene spiegato in maniera esaustiva da Vilem Flusser: “L’uomo ex-siste, ciò significa che il mondo non gli è immediatamente accessibile, per cui si suppone che le immagini glielo rendano rappresentabile. Ma non appena lo fanno, esse si pongono tra il mondo e l’uomo stesso. Cartografie vengono appese al muro: Invece di rappresentare il mondo come è, lo contraffano, cosicché l’uomo possa iniziare a vivere in funzione delle immagini che ha creato.” Il pensiero dovrebbe essere esteso al fatto che difficilmente si può pensare a un’immagine senza includere al tempo stesso anche lo spazio. Il corpo tridimensionale dell’uomo vuole e deve ininterrottamente essere collocato in uno spazio e si immagina già in uno spazio. Già un punto nero su una superficie bianca spinge a creare una matrice di prospettive, in modo da circondare questa informazione visiva di coordinate e collocarsi nello spazio. Alessia Armeni mette di fronte gli spettatori ad immagini di spazi astratti. Le superfici si trasformano così in prospettive, dove viene richiesto l’uso della fantasia. Per sconvolgere questo automatismo antropologico, vengono aggiunte tracce che disorientano la prima impressione che se ne ha. L‘armonia spaziale viene deliberatamente sovvertita e lo spazio immaginario viene riportato alla realtà piana. 5 A questa offerta cangiante di superfici e profondità, Andrea Freiberg oppone la relazionalità delle proporzioni reali. Al centro delle sue opere ci sono reperti che vengono confrontati con pendant pittorici. L’interdipendenza dei diversi modi di essere degli oggetti lascia libera l‘attribuzione del significato. Come, ad esempio, nell’opera Fontana, dove le cose rimandano non solo a sé stesse ma si rappresentano a vicenda. Questo accavallamento crea una nuova dimensione, un intermezzo, che si distende tra oggetto e oggettivazione e quindi appare incantato e disincantato. La principale stranezza dello spazio è senza dubbio la sua ubiquità. Sembra banale l’orientarsi e il muoversi in uno spazio, l’usarlo, il tenerlo in conto, l’immaginarlo, come anche la sua astrazione, proiezione e anche la sua schematizzazione. Nessuno nella propria quotidianità ha problemi con lo spazio come categoria socioculturale. Tuttavia, è impossibile esaminare a fondo l’essere dello spazio. Più ci si prova, più svanisce nella sua indefinibilità e indeterminatezza, fluttuando in tutte le direzioni, come anche le opere della mostra suggestivamente testimoniano. Joseph Imorde
Un testo di Joseph Imorde
Il tedesco, come ci insegna la linguistica, è una lingua a cui piace abbinare/comporre. Le parole si lasciano unire a piacere. Quanto più il lessema è comune, tanto più grande è la varianza e l’abbinabilità dello stesso. Velocemente si passa dal cosmo (in tedesco Weltraum) allo spazio abitabile (Wohnraum), dalla gamma cromatica (Farbraum) alla profondità di campo (Tiefenraum), dall’effetto spaziale (Raumwirkung) all’esperienza di percezione dell’ambiente (Raumerfahrung) o anche al concetto di spazio (Raumkonzept). Il campo si amplia, se, come accade nel titolo della mostra, entrano in gioco referenze e si viene confrontati con complessi riferimenti a diverse aree culturali, aree che sono piene di connotazioni storiche e di allusioni e associazioni – David Bowie e Stanley Kubrick, i viaggi eroici di Omero, Albert Einstein e Edwin Hubble, la Sojus e l’Apollo13, Yuri Gagarin e Neil Armstrong, la forza di gravità e il suo superamento. Questi ambiti di pensiero e discorso vengono definiti da relatività e relazionalità. Stravaganze, enigmi e magia dappertutto. L‘”azione spettrale a distanza” della correlazione quantistica o l’”energia oscura”, che disperde entropicamente l’universo, i segreti dello spazio subatomico o intergalattico, si accomunano a più conosciuti e vicini “oddities”: la bizzarria dei luoghi urbani o sociali, o l’incanto della rappresentazione e percezione mediatica; un’installazione transitabile lì, “soundscapes” là e a casa ricordi carichi di sentimento. “Space” nella fisica è uno dei problemi completamente irrisolti e anche nell’arte rappresenta una sfida permanente e continuamente da risolvere. L’occuparsi di questo fenomeno multiforme ha bisogno di interpretazioni e semplificazioni. Chi vuole condensare realtà tri- o addirittura quadrimensionali su un campo bidimensionale, non può farlo senza l’uso di tecniche specifiche. Nell’arco della storia retorici (e anche poeti) hanno sviluppato e tramandato la rappresentazione dello spazio. Degli espedienti formali fanno parte fra l’altro l’astrazione, la proiezione, la diagrammatica, ma anche naturalmente tutte le possibili espressioni/varianti di prospettiva e ridimensionamento. Marina Paris usa le rappresentazioni dell’architettura fondate da Vitruvio (icnografia, ortografia e scenografia) mettendole contemporaneamente in movimento. Nell’opera Less than five minutes ci vengono proposte situazioni scenografiche unite a una colonna 4 sonora che offrono immagini sconcertanti, in cui si ha bisogno di inserire questi spazi astratti in realtà proprie e paragonarle a esperienze personali. Il bizzarro come anche la validità di queste immagini consiste, come già detto, nella loro relazionalità. Il nuovo viene sempre messo in rapporto dagli osservatori con qualcosa di conosciuto e il fascino attuale viene messo accanto alle scorte di avvenimenti e ricordi passati. L’effetto delle opere di Mariel Poppe Mauerfragmenten (frammenti di muro) e Fake Towers si basa in questo senso su un processo cognitivo di negoziazione. “Odd” (bizzarra) ci appare la monumentalizzazione del piccolo, quando nelle opere di Poppe si cercano somiglianze nel proprio vissuto e per questo si constata la rottura della norma, che si offre allo sguardo interiore come assoluta novità. Senza dubbio questi processi di conformazione sono idiosincratici e nella quotidianità assumono una funzione di difesa. I paragoni rappresentano meccanismi di riduzione del dispendio di forze. Con il patrimonio di immagini, che diventa sempre più ampio, l’individuo cerca di immunizzarsi da impressioni esterne scomode e inopportune. Ci si tiene alla larga da ciò che provoca turbamento e da ciò che ci minaccia. La dialettica di questo psicoigienico sistema di filtraggio in relazione alle immagini viene spiegato in maniera esaustiva da Vilem Flusser: “L’uomo ex-siste, ciò significa che il mondo non gli è immediatamente accessibile, per cui si suppone che le immagini glielo rendano rappresentabile. Ma non appena lo fanno, esse si pongono tra il mondo e l’uomo stesso. Cartografie vengono appese al muro: Invece di rappresentare il mondo come è, lo contraffano, cosicché l’uomo possa iniziare a vivere in funzione delle immagini che ha creato.” Il pensiero dovrebbe essere esteso al fatto che difficilmente si può pensare a un’immagine senza includere al tempo stesso anche lo spazio. Il corpo tridimensionale dell’uomo vuole e deve ininterrottamente essere collocato in uno spazio e si immagina già in uno spazio. Già un punto nero su una superficie bianca spinge a creare una matrice di prospettive, in modo da circondare questa informazione visiva di coordinate e collocarsi nello spazio. Alessia Armeni mette di fronte gli spettatori ad immagini di spazi astratti. Le superfici si trasformano così in prospettive, dove viene richiesto l’uso della fantasia. Per sconvolgere questo automatismo antropologico, vengono aggiunte tracce che disorientano la prima impressione che se ne ha. L‘armonia spaziale viene deliberatamente sovvertita e lo spazio immaginario viene riportato alla realtà piana. 5 A questa offerta cangiante di superfici e profondità, Andrea Freiberg oppone la relazionalità delle proporzioni reali. Al centro delle sue opere ci sono reperti che vengono confrontati con pendant pittorici. L’interdipendenza dei diversi modi di essere degli oggetti lascia libera l‘attribuzione del significato. Come, ad esempio, nell’opera Fontana, dove le cose rimandano non solo a sé stesse ma si rappresentano a vicenda. Questo accavallamento crea una nuova dimensione, un intermezzo, che si distende tra oggetto e oggettivazione e quindi appare incantato e disincantato. La principale stranezza dello spazio è senza dubbio la sua ubiquità. Sembra banale l’orientarsi e il muoversi in uno spazio, l’usarlo, il tenerlo in conto, l’immaginarlo, come anche la sua astrazione, proiezione e anche la sua schematizzazione. Nessuno nella propria quotidianità ha problemi con lo spazio come categoria socioculturale. Tuttavia, è impossibile esaminare a fondo l’essere dello spazio. Più ci si prova, più svanisce nella sua indefinibilità e indeterminatezza, fluttuando in tutte le direzioni, come anche le opere della mostra suggestivamente testimoniano. Joseph Imorde