Sunset Bolevard, Curva Pura, Roma, 2024, a cura di Nicoletta Provenzano
Doppia personale di Alessia Armeni e Chiara Fantaccione
Passaggi di orizzonti e verticalità
di Nicoletta Provenzano
«Rites de passage – così sono dette nel folclore le cerimonie connesse alla morte, alla nascita, al matrimonio, al diventare adulti ecc. Nella vita moderna questi passaggi sono divenuti sempre più irriconoscibili e impercettibili. Siamo diventati molto poveri di esperienza della soglia. L’addormentarsi forse è l’unica che c’è rimasta. (E con essa, però, anche il risveglio).»
Walter Benjamin, I «passages» di Parigi, vol.I, a cura di Rolf Tiedemann, Einaudi, Torino 2010
Il passaggio è un luogo sospeso, una dimensione spaziotemporale appartenente al transitare, dispiegato tra un prima e un dopo, un al di qua e un al di là, che si definisce come linea di demarcazione dinamica e al contempo segno stabile di un cambiamento. Dal latino passus participio passato di pandere: stendere, spiegare, aprire, il campo semantico del termine chiarisce la propria intrinseca estensione, la trasforme indeterminatezza del margine, il lieve susseguirsi di stadi fisici e temporali.
La mostra Sunset Boulevard di Alessia Armeni e Chiara Fantaccione traversa questi stati liminali trasponendoli in ciclicità tonali e scansioni ritmiche, in luoghi e orizzonti dialettici, in paesaggi di luce e d’ombra che divengono espressione di mondi intermedi. L’oltrepassare prende sostanza coloristica e si definisce come territorio varcato da molteplici soglie che rivolgono le coordinate di tempo e spazio, separando e congiungendo dualità cosmiche e geometrie euritmiche, superfici cadenzate e luminescenze paesistiche, il fluire e l’arrestarsi, il principio e la fine, il passato e il futuro anteriore.
Nel richiamo ad un luogo fisico iconico che nominalmente si identifica con l’intensità luministica appena precedente al volgere crepuscolare, il titolo della mostra cristallizza in un intermezzo i postulati fondamentali di un transitare dallo stato precedente a quello successivo.
Il dialogo tre le due artiste, tra linguaggi pittorici, scultorei e installativi, trova rimandi e riscontri reciproci evidenziandosi come piano formale e concettuale che si amplia in rispondenze cromatiche, in doppie e fronteggianti transizioni poste a confronto, in echi rispecchianti dinamicità orizzontali e distinzioni verticali, alternanze e simultaneità del tempo e della sua traslazione spaziale.
Negli olii su tela di Alessia Armeni la luce si propaga come istante spazializzato, dove il susseguirsi delle tonalità in intervalli e zone di sosta è un avvicendamento di stadi contemplativi, di rilucenze successive e transitorie.
Nell’opera 24h_painting_rome_05_02_23 variazioni coloristiche appartenenti alle ore del giorno e della notte si dilatano in ritmicità verticali dalla direzionalità orizzontale. Nella gradazione continua e conseguente le istanze del visivo sono campi di confini contingenti e compresenti, racchiusi in segmenti armonici che percorrono le alterità della luce, costituita come porzione di luogo corrisposto dal reciproco frammento di tempo.
Vertigine di una prospettiva sull’infinito, la pittura Abisso si addentra nella magia degli specchi costruiti in pennellate dal chiaro splendore argenteo. Fronteggiati l’un l’altro come sguardi che penetrano il vuoto, assorbendo e disperdendo la luce nell’aria rarefatta, i due elementi riflettenti originano una diatriba visiva tra profondità e superficie: recte linee di un passaggio continuo ripropongono un confine tra spazi interconnessi senza via d’uscita.
L’opera Candy, unica protagonista abitatrice di questi territori della soglia, è epitome del passaggio adolescenziale: il cartone animato, colorato dal radioso stupore irraggiante del sole al tramonto, attraversa i sedimenti nostalgici per mostrarsi presenza simulacrale, ritratto immaginativo e incanto infuocato rischiarato nei suoi legami con la morfologia della fiaba, riverbero dei riti di iniziazione.
Nelle opere di Chiara Fantaccione il passaggio si orchestra in una dimensione paesaggistica e oggettuale, indagandone il piano simbolico in raffronto coincidente e opponente con la ciclicità naturale, come tragitto e materializzazione di luce nell’estremo divenire di un sorgere e tramontare o come sospensione temporale di un feticcio tecnico, eternato ambiguamente nella dualità tra vita e morte.
Nell’opera Golden hour i profili fulgenti di una scultura paesistica danno corpo materico all’ora d’oro, condizione appartenente alla sfera fotografica e alla medicina emergenziale, corrispondente alle prime e ultime luci del giorno e al lasso di tempo salvifico nella chirurgia d’urgenza. La lucida brillantezza di un attimo originario e terminale, dove la figura umana è assente, si compone come regione dell’oltre su cui si radica lo scorrere della luce solare ripercorsa in video speculari e simultanei che tracciano la rotta dell’astro, evidenziata nelle sue gradazioni cromatiche riflesse in una veduta o ripetuta in una rotazione completa attorno all’ambiente virtuale creato in una simulazione animata.
Nella riflessione tra magica trascendenza e ascesa irreale rivelativa di un processo artificiale, l’acqua, fonte di vita, è presenza metaforica e paradigmatica, ripetuta e tripartita tra i due video e il centro dell’installazione.
In Golden hour n.2 la verticalizzazione di un territorio aureo, su cui appare la proiezione del disco solare nel momento del tramonto, inverte le coordinate spaziali trasformandosi in una discesa e risalita lungo la linea temporale, varcando ulteriormente una frontiera conoscitiva. Orizzontalità e verticalità si ridistribuiscono come orogenesi traslativa.
In un tempo che non è ancora, il passato e il futuro, nella serie di sculture Requiem, si trasformano in elementi fossili, reperti incastonati in ambre lucenti e sfaccettate, che preservano e conservano unità minime di oggetti elettronici appartenenti alla tecnologia odierna. Nella diatriba tra naturale e artificiale, organico e inorganico, componenti di materiali, utilizzati per l’immagazzinamento di dati e memorie o la condivisione di conoscenze e informazioni, si decompongono e insieme si perpetuano in resine artificiali, richiamanti l’ambra vegetale, come testimoni di una evoluzione tecnica che instaura un decorso decadente e obsolescente, un remoto in seno al contemporaneo.
Nella mostra Sunset Boulevard il passaggio inteso come territorio sospeso tra un pre e un post compie un viaggio cromatico che attraversa limini spaziotemporali, piani orizzontali e verticali plasmati da Alessia Armeni e Chiara Fantaccione nella luce iridescente di coordinate cronotopiche, dove nei propri linguaggi interagenti compongono spazialità diacroniche e sincroniche.
di Nicoletta Provenzano
«Rites de passage – così sono dette nel folclore le cerimonie connesse alla morte, alla nascita, al matrimonio, al diventare adulti ecc. Nella vita moderna questi passaggi sono divenuti sempre più irriconoscibili e impercettibili. Siamo diventati molto poveri di esperienza della soglia. L’addormentarsi forse è l’unica che c’è rimasta. (E con essa, però, anche il risveglio).»
Walter Benjamin, I «passages» di Parigi, vol.I, a cura di Rolf Tiedemann, Einaudi, Torino 2010
Il passaggio è un luogo sospeso, una dimensione spaziotemporale appartenente al transitare, dispiegato tra un prima e un dopo, un al di qua e un al di là, che si definisce come linea di demarcazione dinamica e al contempo segno stabile di un cambiamento. Dal latino passus participio passato di pandere: stendere, spiegare, aprire, il campo semantico del termine chiarisce la propria intrinseca estensione, la trasforme indeterminatezza del margine, il lieve susseguirsi di stadi fisici e temporali.
La mostra Sunset Boulevard di Alessia Armeni e Chiara Fantaccione traversa questi stati liminali trasponendoli in ciclicità tonali e scansioni ritmiche, in luoghi e orizzonti dialettici, in paesaggi di luce e d’ombra che divengono espressione di mondi intermedi. L’oltrepassare prende sostanza coloristica e si definisce come territorio varcato da molteplici soglie che rivolgono le coordinate di tempo e spazio, separando e congiungendo dualità cosmiche e geometrie euritmiche, superfici cadenzate e luminescenze paesistiche, il fluire e l’arrestarsi, il principio e la fine, il passato e il futuro anteriore.
Nel richiamo ad un luogo fisico iconico che nominalmente si identifica con l’intensità luministica appena precedente al volgere crepuscolare, il titolo della mostra cristallizza in un intermezzo i postulati fondamentali di un transitare dallo stato precedente a quello successivo.
Il dialogo tre le due artiste, tra linguaggi pittorici, scultorei e installativi, trova rimandi e riscontri reciproci evidenziandosi come piano formale e concettuale che si amplia in rispondenze cromatiche, in doppie e fronteggianti transizioni poste a confronto, in echi rispecchianti dinamicità orizzontali e distinzioni verticali, alternanze e simultaneità del tempo e della sua traslazione spaziale.
Negli olii su tela di Alessia Armeni la luce si propaga come istante spazializzato, dove il susseguirsi delle tonalità in intervalli e zone di sosta è un avvicendamento di stadi contemplativi, di rilucenze successive e transitorie.
Nell’opera 24h_painting_rome_05_02_23 variazioni coloristiche appartenenti alle ore del giorno e della notte si dilatano in ritmicità verticali dalla direzionalità orizzontale. Nella gradazione continua e conseguente le istanze del visivo sono campi di confini contingenti e compresenti, racchiusi in segmenti armonici che percorrono le alterità della luce, costituita come porzione di luogo corrisposto dal reciproco frammento di tempo.
Vertigine di una prospettiva sull’infinito, la pittura Abisso si addentra nella magia degli specchi costruiti in pennellate dal chiaro splendore argenteo. Fronteggiati l’un l’altro come sguardi che penetrano il vuoto, assorbendo e disperdendo la luce nell’aria rarefatta, i due elementi riflettenti originano una diatriba visiva tra profondità e superficie: recte linee di un passaggio continuo ripropongono un confine tra spazi interconnessi senza via d’uscita.
L’opera Candy, unica protagonista abitatrice di questi territori della soglia, è epitome del passaggio adolescenziale: il cartone animato, colorato dal radioso stupore irraggiante del sole al tramonto, attraversa i sedimenti nostalgici per mostrarsi presenza simulacrale, ritratto immaginativo e incanto infuocato rischiarato nei suoi legami con la morfologia della fiaba, riverbero dei riti di iniziazione.
Nelle opere di Chiara Fantaccione il passaggio si orchestra in una dimensione paesaggistica e oggettuale, indagandone il piano simbolico in raffronto coincidente e opponente con la ciclicità naturale, come tragitto e materializzazione di luce nell’estremo divenire di un sorgere e tramontare o come sospensione temporale di un feticcio tecnico, eternato ambiguamente nella dualità tra vita e morte.
Nell’opera Golden hour i profili fulgenti di una scultura paesistica danno corpo materico all’ora d’oro, condizione appartenente alla sfera fotografica e alla medicina emergenziale, corrispondente alle prime e ultime luci del giorno e al lasso di tempo salvifico nella chirurgia d’urgenza. La lucida brillantezza di un attimo originario e terminale, dove la figura umana è assente, si compone come regione dell’oltre su cui si radica lo scorrere della luce solare ripercorsa in video speculari e simultanei che tracciano la rotta dell’astro, evidenziata nelle sue gradazioni cromatiche riflesse in una veduta o ripetuta in una rotazione completa attorno all’ambiente virtuale creato in una simulazione animata.
Nella riflessione tra magica trascendenza e ascesa irreale rivelativa di un processo artificiale, l’acqua, fonte di vita, è presenza metaforica e paradigmatica, ripetuta e tripartita tra i due video e il centro dell’installazione.
In Golden hour n.2 la verticalizzazione di un territorio aureo, su cui appare la proiezione del disco solare nel momento del tramonto, inverte le coordinate spaziali trasformandosi in una discesa e risalita lungo la linea temporale, varcando ulteriormente una frontiera conoscitiva. Orizzontalità e verticalità si ridistribuiscono come orogenesi traslativa.
In un tempo che non è ancora, il passato e il futuro, nella serie di sculture Requiem, si trasformano in elementi fossili, reperti incastonati in ambre lucenti e sfaccettate, che preservano e conservano unità minime di oggetti elettronici appartenenti alla tecnologia odierna. Nella diatriba tra naturale e artificiale, organico e inorganico, componenti di materiali, utilizzati per l’immagazzinamento di dati e memorie o la condivisione di conoscenze e informazioni, si decompongono e insieme si perpetuano in resine artificiali, richiamanti l’ambra vegetale, come testimoni di una evoluzione tecnica che instaura un decorso decadente e obsolescente, un remoto in seno al contemporaneo.
Nella mostra Sunset Boulevard il passaggio inteso come territorio sospeso tra un pre e un post compie un viaggio cromatico che attraversa limini spaziotemporali, piani orizzontali e verticali plasmati da Alessia Armeni e Chiara Fantaccione nella luce iridescente di coordinate cronotopiche, dove nei propri linguaggi interagenti compongono spazialità diacroniche e sincroniche.