Reflections on the Possibility of Subjectivity: The 24 Hour Paintings of Alessia Armeni
Riflessioni sulla Possibilità della Soggettività: le 24h painting di Alessia Armeni
di Mike Watson
“Once Upon a Time ...
A balcony at night.
A man stands by a window, sharpening a razor. He looks to the sky and sees a cloud moving toward the full moon.
As the cloud passes across the face of the moon, a razor blade slices through the eye of a young woman.”
Un Chien Andalou, Dali, Bunuel
I-ball/Bulbo oculare
Il lento diligente lavoro di Alessia Armeni, che instancabilmente riproduce gli effetti della luce sulla retina umana ed il processo di questa luce nel cervello, è un'opportunità per interrogarci come, e ovviamente se, l'arte interviene in modo da conferire “significato” ad una vita che altrimenti è solo oggettiva.
Questo per dire che in una società nella quale l'individuo è doppiamente oggettivato dalla scienza (da cui siamo ridotti a materia costitutiva: cellule, atomi, ecc.) e dal sistema finanziario (da cui siamo ridotti a valore monetario) come può l'arte essere percepita come possibilità di esperienza trascendente?
L'atto del guardare e del trascrivere cosa si è visto sulla tela, rimane in definitiva l'atto di un soggetto umano che interpreta chimicamente, tramite manipolazione di materia concreta. Una semplice interazione tra occhio, cervello, mano e pittura, dove l'occhio, lontano dall'essere il luccicante occhio dell'amante, rimane un morto bulbo oculare, sensibile alla luce che lascia le sue impressioni sulla superficie vuota della mente.
A che punto, dal momento in cui Alessia Armeni - un agglomerato di cellule - applica la pittura sulla tela per ricreare l'impressione lasciata sulla sua mente dall'ingresso delle onde luminose nel suo cervello, il prodotto che crea si eleva allo status di “opera d'arte'? E inoltre, a che punto l'opera d'arte si eleva dal regno di mere cellule e oggetti in modo da conferire significato per l'artefice e l'osservatore?
Il lavoro di Alessia Armeni è ideale per questa sorta di riflessione. Prosecutrice della tradizione della pittura, fortemente influenzata dall'essere cresciuta a Roma, si inscrive nel tracciato della storia dell'esperienza artistica del trascendente, incorporando il lavoro dei maestri del rinascimento e del barocco. Dipingere, da un certo punto di vista, ha la capacità di trasportare l'osservatore in un'altra realtà. Si può sospendere lo scetticismo e accedere alla cognizione che si sta osservando un paesaggio o un bel nudo, fino al punto in cui le reali condizioni dell'esistenza possono essere momentaneamente dimenticate.
A questo punto la nostra connessione con un mondo più ampio è avvenuta. Non ci sentiamo più bloccati fuori dal mondo, compartimentati nelle nostre “scatole” individuali, ma piuttosto “nuotiamo” in un gigantesco cosmo, dove lo scetticismo lascia posto alla meraviglia. Subito è nella frattura data da quel momento, quel punto in cui qualcosa scatta, che l'osservatore è restituito alla consapevolezza degli oggetti circostanti, in un luogo del mondo popolato da assistenti di galleria, turisti, mobili, porte, ascensori, tanto che egli realizza la fondamentale differenza tra le cose circostanti e l'opera d'arte, che momentaneamente li ha trasportati fuori da sé stessi.
Da questo punto di vista la pittura, nel momento in cui cessasse di rappresentare una alternativa ed una realtà attraente, diventerebbe mero pigmento su tela, tanto da riportare l'osservatore dentro sé stesso; essa può creare un momento di soggettività. Allo stesso modo un neuroscienziato potrebbe argomentare che il pensiero umano sia puramente un processo materiale, questo momento di soggettività sarebbe un mero processo oggettivo. Come risolvere questa contraddizione, elevare l'esperienza artistica al punto che possa sovrastare la oggettivante natura della razionalità e mettere a fuoco ciò è di vitale importanza per lo studio della filosofia e dell'arte contemporanea.
Alessia Armeni, dipingendo per 24 ore le sue serie “24 hour paintings”, in cui divide la tela di formato orizzontale in 24 strisce uguali, dipingendo il colore che vede su uno spazio vuoto di un muro bianco di uno studio di una certa località, per esempio Roma, Londra, New York, o Città del Messico, effettivamente riproduce questa precisa argomentazione.
Il semplice processo di dividere la tela in ore, riflette la suddivisione razionalistica del tempo e dello spazio, ed il copiare sulla tela ciò che si presenta dinnanzi all'occhio, è una riflessione che riguarda la distanza tra l'artista e l'oggetto del suo studio (in questo caso la luce). Noi siamo invitati, a questo punto, a soffermarci su come la creazione dell'opera d'arte sia intervenuta prima, nell'atto della sua realizzazione, ed anche successivamente, quando questa è osservata, fino al punto da rendere il soggetto osservatore ed il soggetto artista degli esseri reali ed esistenti, perché separati dagli oggetti di cui sono circondati.
Per dire semplicemente, quando guardiamo il mutevole campo di colore di Alessia Armeni, ci perdiamo nell'apparente sottile movimento tonale che evoca il cielo, così come la stessa Armeni, che dipingendo questi quadri per 24 ore consecutive senza dormire si perde mentre dipinge; a che punto è possibile dire che una genuina soggettività è diventata esistenza? A che punto l'atto del guardare diviene un atto generato dal benevolente sguardo dell'occhio umano, piuttosto che da un mero gelatinoso globo oculare? Anche punto la mano del pittore diviene una mano piena di grazia, consapevole del dipingere, piuttosto che una massa di carne ed ossa, terminale fremente del pennello a cui risponde?
Childhood Obsessions Die Hard/ Ossessioni dell'Infanzia Dure a Morire
L'atto di guardare su una parete completamente bianca il mutare della tonalità per effetto delle naturali variazioni della qualità della luce, ci è familiare fin dall'infanzia. Una specie di dispositivo visivo primario, la stessa porzione di parete, vista per un lasso di tempo, o per giorni ed anni successivi, può innescare una miriade di scene, storie e umori mutevoli. Tutto ciò è dovuto alla semplice interazione tra la luce e l'apparato sensoriale umano, in questo caso l'occhio o, più precisamente, la retina.
L'incontro delle onde luminose con il globo oculare, decodificato dal cervello, l'incontro, effettivamente, di svariati oggetti vagamente collegati in una certa configurazione relativa alla posizione del sole, delle nuvole o la limpidezza del cielo, degli oggetti stazionari o passeggeri, tutti influenzano la modulazione del colore che vediamo quando osserviamo una parete completamente bianca.
Questa abitudine dell'infanzia di osservare per periodi prolungati gli spazi vuoti, che appartiene genericamente alla naturale curiosità che si perde poi col tempo, è l'inizio di una più ampia riflessione critica che mai ci lascia realmente, e che trova la sua successiva espressione nella ricerca scientifica, negli studi filosofici, nella pratica spirituale e nella applicazione matematica.
Lo stato di trance in cui ci è facile entrare durante l'infanzia, che può essere descritto come una sorta di smarrimento al cospetto dei meccanismi del mondo di cui siamo parte, rappresenta un fenomeno interessante per le recenti teorie sull'esistenza. Infatti uno dei più significativi sviluppi ulteriori dell'infanzia si riflette nell'idea di separazione che è caratteristica del razionalismo, o certamente di ogni pensiero dialettico o dualistico che divide ciò che è interiore da ciò che è esteriore, l'umano dal naturale, lo spirito dal corpo.
In uno stadio successivo dello sviluppo dell'individuo, generalmente viene un momento nel quale osservare le pareti o gli oggetti non è più sufficiente. Si arriva ad un punto in cui l'intenzione diventa quella di cogliere l'oggetto, cercare di modellarlo, non con le mani, cosa che è già comparsa durante gli stadi iniziali, ma in qualche modo con la mente. In questa fase si verifica una non accettazione dei confini naturali tra ciò che è umano ed il mondo circostante.
Ricordo che da bambino, e sono certo sia esperienza di molti, stavo seduto provando a muovere gli oggetti utilizzando solamente il potere della mente. Provavo per ore (o quantomeno sembravano ore) e accadeva di sentirmi incredibilmente frustrato perché sembrava una azione realmente possibile. C'è in tutta la nostra vita ed in qualche modo è radicata nella società e nella storia, questa fondamentale riluttanza ad accettare i limiti dell'esperienza umana. L'artista, lo scienziato il filosofo, il prete ed il matematico sono tutti coinvolti nello sfidare i limiti della percezione. I limiti che esistono tra l'apparato sensoriale umano ed il mondo circostante.
I quadri di Alessia Armeni riflettono questa tendenza umana a voler andare oltre i meccanismi di base della percezione. Cogliendo la semplice interazione tra la retina, una parete completamente bianca ed il cervello e riproducendo con olio, tela e pigmento, l'effetto di ciò che appare all'occhio umano, l'artista ricrea e poi spiazza questo processo oggettivo. E' infatti un procedimento integralmente obbiettivo, ma si sviluppa di riflesso per effetto della riproposizione della interazione tra soggetto e oggetto su una nuova superficie. In questo modo l'artista doppiamente aggira la distanza tra l'oggetto esterno (in questo caso luce e parete) e sé stessa (un apparato sensoriale).
E ancora, se dovessimo essere riduttivi potremmo ancora sostenere che, come l'artista dipinge le sue 24 h paintings, instancabilmente mischiando i colori che vede, solo usando pigmento, pennelli e tela, tutto ciò che avviene è l'interazione di diversi oggetti, tra i quali l'artista ne è appunto uno.
L'atto della creazione artistica non può da solo elevare l'artista al di fuori della riduzione scientifica che vede nelle persone meri oggetti. Fare arte è piuttosto come quella ossessione infantile di controllare gli oggetti con la mente. E' un tentativo di dare forma al mondo per il quale l'artista è solo una piccola parte. E mentre piccole tracce possono essere lasciate nella maniera di oggetto/dipinti, l'artista rimane, come un essere umano, un costrutto materiale, fatto di cellule, che interagiscono e rappresentano il mondo.
E ancora, nella tendenza dell'arte di creare illusione, come presentare una tela con un paesaggio, o addirittura, come colori che appaiono su una parete bianca, c'è un infantile rifiuto di accettare le condizioni dell'essere. Le “24 hour paintings”di Alessia Armeni esaminano sia il semplice meccanismo della percezione, attraverso il quale la luce dà forma a tutto ciò che vediamo, sia rappresentandolo offre contemporaneamente un saggio di percezione artistica come processo materiale e insieme trascendentale. Qui risiede una interessante risposta all'interrogativo posto sulla validità della esistenza soggettiva da parte della razionalità: forse l'arte è un processo interamente oggettivo, che nel suo rifiuto di accettare la realtà, ammette la possibilità della soggettività.
Per questa ragione dipingere resta importante, a fianco ad altre forme d'arte, come una ricerca sulla possibilità di essere sé stessi.
Riflessioni sulla Possibilità della Soggettività: le 24h painting di Alessia Armeni
di Mike Watson
“Once Upon a Time ...
A balcony at night.
A man stands by a window, sharpening a razor. He looks to the sky and sees a cloud moving toward the full moon.
As the cloud passes across the face of the moon, a razor blade slices through the eye of a young woman.”
Un Chien Andalou, Dali, Bunuel
I-ball/Bulbo oculare
Il lento diligente lavoro di Alessia Armeni, che instancabilmente riproduce gli effetti della luce sulla retina umana ed il processo di questa luce nel cervello, è un'opportunità per interrogarci come, e ovviamente se, l'arte interviene in modo da conferire “significato” ad una vita che altrimenti è solo oggettiva.
Questo per dire che in una società nella quale l'individuo è doppiamente oggettivato dalla scienza (da cui siamo ridotti a materia costitutiva: cellule, atomi, ecc.) e dal sistema finanziario (da cui siamo ridotti a valore monetario) come può l'arte essere percepita come possibilità di esperienza trascendente?
L'atto del guardare e del trascrivere cosa si è visto sulla tela, rimane in definitiva l'atto di un soggetto umano che interpreta chimicamente, tramite manipolazione di materia concreta. Una semplice interazione tra occhio, cervello, mano e pittura, dove l'occhio, lontano dall'essere il luccicante occhio dell'amante, rimane un morto bulbo oculare, sensibile alla luce che lascia le sue impressioni sulla superficie vuota della mente.
A che punto, dal momento in cui Alessia Armeni - un agglomerato di cellule - applica la pittura sulla tela per ricreare l'impressione lasciata sulla sua mente dall'ingresso delle onde luminose nel suo cervello, il prodotto che crea si eleva allo status di “opera d'arte'? E inoltre, a che punto l'opera d'arte si eleva dal regno di mere cellule e oggetti in modo da conferire significato per l'artefice e l'osservatore?
Il lavoro di Alessia Armeni è ideale per questa sorta di riflessione. Prosecutrice della tradizione della pittura, fortemente influenzata dall'essere cresciuta a Roma, si inscrive nel tracciato della storia dell'esperienza artistica del trascendente, incorporando il lavoro dei maestri del rinascimento e del barocco. Dipingere, da un certo punto di vista, ha la capacità di trasportare l'osservatore in un'altra realtà. Si può sospendere lo scetticismo e accedere alla cognizione che si sta osservando un paesaggio o un bel nudo, fino al punto in cui le reali condizioni dell'esistenza possono essere momentaneamente dimenticate.
A questo punto la nostra connessione con un mondo più ampio è avvenuta. Non ci sentiamo più bloccati fuori dal mondo, compartimentati nelle nostre “scatole” individuali, ma piuttosto “nuotiamo” in un gigantesco cosmo, dove lo scetticismo lascia posto alla meraviglia. Subito è nella frattura data da quel momento, quel punto in cui qualcosa scatta, che l'osservatore è restituito alla consapevolezza degli oggetti circostanti, in un luogo del mondo popolato da assistenti di galleria, turisti, mobili, porte, ascensori, tanto che egli realizza la fondamentale differenza tra le cose circostanti e l'opera d'arte, che momentaneamente li ha trasportati fuori da sé stessi.
Da questo punto di vista la pittura, nel momento in cui cessasse di rappresentare una alternativa ed una realtà attraente, diventerebbe mero pigmento su tela, tanto da riportare l'osservatore dentro sé stesso; essa può creare un momento di soggettività. Allo stesso modo un neuroscienziato potrebbe argomentare che il pensiero umano sia puramente un processo materiale, questo momento di soggettività sarebbe un mero processo oggettivo. Come risolvere questa contraddizione, elevare l'esperienza artistica al punto che possa sovrastare la oggettivante natura della razionalità e mettere a fuoco ciò è di vitale importanza per lo studio della filosofia e dell'arte contemporanea.
Alessia Armeni, dipingendo per 24 ore le sue serie “24 hour paintings”, in cui divide la tela di formato orizzontale in 24 strisce uguali, dipingendo il colore che vede su uno spazio vuoto di un muro bianco di uno studio di una certa località, per esempio Roma, Londra, New York, o Città del Messico, effettivamente riproduce questa precisa argomentazione.
Il semplice processo di dividere la tela in ore, riflette la suddivisione razionalistica del tempo e dello spazio, ed il copiare sulla tela ciò che si presenta dinnanzi all'occhio, è una riflessione che riguarda la distanza tra l'artista e l'oggetto del suo studio (in questo caso la luce). Noi siamo invitati, a questo punto, a soffermarci su come la creazione dell'opera d'arte sia intervenuta prima, nell'atto della sua realizzazione, ed anche successivamente, quando questa è osservata, fino al punto da rendere il soggetto osservatore ed il soggetto artista degli esseri reali ed esistenti, perché separati dagli oggetti di cui sono circondati.
Per dire semplicemente, quando guardiamo il mutevole campo di colore di Alessia Armeni, ci perdiamo nell'apparente sottile movimento tonale che evoca il cielo, così come la stessa Armeni, che dipingendo questi quadri per 24 ore consecutive senza dormire si perde mentre dipinge; a che punto è possibile dire che una genuina soggettività è diventata esistenza? A che punto l'atto del guardare diviene un atto generato dal benevolente sguardo dell'occhio umano, piuttosto che da un mero gelatinoso globo oculare? Anche punto la mano del pittore diviene una mano piena di grazia, consapevole del dipingere, piuttosto che una massa di carne ed ossa, terminale fremente del pennello a cui risponde?
Childhood Obsessions Die Hard/ Ossessioni dell'Infanzia Dure a Morire
L'atto di guardare su una parete completamente bianca il mutare della tonalità per effetto delle naturali variazioni della qualità della luce, ci è familiare fin dall'infanzia. Una specie di dispositivo visivo primario, la stessa porzione di parete, vista per un lasso di tempo, o per giorni ed anni successivi, può innescare una miriade di scene, storie e umori mutevoli. Tutto ciò è dovuto alla semplice interazione tra la luce e l'apparato sensoriale umano, in questo caso l'occhio o, più precisamente, la retina.
L'incontro delle onde luminose con il globo oculare, decodificato dal cervello, l'incontro, effettivamente, di svariati oggetti vagamente collegati in una certa configurazione relativa alla posizione del sole, delle nuvole o la limpidezza del cielo, degli oggetti stazionari o passeggeri, tutti influenzano la modulazione del colore che vediamo quando osserviamo una parete completamente bianca.
Questa abitudine dell'infanzia di osservare per periodi prolungati gli spazi vuoti, che appartiene genericamente alla naturale curiosità che si perde poi col tempo, è l'inizio di una più ampia riflessione critica che mai ci lascia realmente, e che trova la sua successiva espressione nella ricerca scientifica, negli studi filosofici, nella pratica spirituale e nella applicazione matematica.
Lo stato di trance in cui ci è facile entrare durante l'infanzia, che può essere descritto come una sorta di smarrimento al cospetto dei meccanismi del mondo di cui siamo parte, rappresenta un fenomeno interessante per le recenti teorie sull'esistenza. Infatti uno dei più significativi sviluppi ulteriori dell'infanzia si riflette nell'idea di separazione che è caratteristica del razionalismo, o certamente di ogni pensiero dialettico o dualistico che divide ciò che è interiore da ciò che è esteriore, l'umano dal naturale, lo spirito dal corpo.
In uno stadio successivo dello sviluppo dell'individuo, generalmente viene un momento nel quale osservare le pareti o gli oggetti non è più sufficiente. Si arriva ad un punto in cui l'intenzione diventa quella di cogliere l'oggetto, cercare di modellarlo, non con le mani, cosa che è già comparsa durante gli stadi iniziali, ma in qualche modo con la mente. In questa fase si verifica una non accettazione dei confini naturali tra ciò che è umano ed il mondo circostante.
Ricordo che da bambino, e sono certo sia esperienza di molti, stavo seduto provando a muovere gli oggetti utilizzando solamente il potere della mente. Provavo per ore (o quantomeno sembravano ore) e accadeva di sentirmi incredibilmente frustrato perché sembrava una azione realmente possibile. C'è in tutta la nostra vita ed in qualche modo è radicata nella società e nella storia, questa fondamentale riluttanza ad accettare i limiti dell'esperienza umana. L'artista, lo scienziato il filosofo, il prete ed il matematico sono tutti coinvolti nello sfidare i limiti della percezione. I limiti che esistono tra l'apparato sensoriale umano ed il mondo circostante.
I quadri di Alessia Armeni riflettono questa tendenza umana a voler andare oltre i meccanismi di base della percezione. Cogliendo la semplice interazione tra la retina, una parete completamente bianca ed il cervello e riproducendo con olio, tela e pigmento, l'effetto di ciò che appare all'occhio umano, l'artista ricrea e poi spiazza questo processo oggettivo. E' infatti un procedimento integralmente obbiettivo, ma si sviluppa di riflesso per effetto della riproposizione della interazione tra soggetto e oggetto su una nuova superficie. In questo modo l'artista doppiamente aggira la distanza tra l'oggetto esterno (in questo caso luce e parete) e sé stessa (un apparato sensoriale).
E ancora, se dovessimo essere riduttivi potremmo ancora sostenere che, come l'artista dipinge le sue 24 h paintings, instancabilmente mischiando i colori che vede, solo usando pigmento, pennelli e tela, tutto ciò che avviene è l'interazione di diversi oggetti, tra i quali l'artista ne è appunto uno.
L'atto della creazione artistica non può da solo elevare l'artista al di fuori della riduzione scientifica che vede nelle persone meri oggetti. Fare arte è piuttosto come quella ossessione infantile di controllare gli oggetti con la mente. E' un tentativo di dare forma al mondo per il quale l'artista è solo una piccola parte. E mentre piccole tracce possono essere lasciate nella maniera di oggetto/dipinti, l'artista rimane, come un essere umano, un costrutto materiale, fatto di cellule, che interagiscono e rappresentano il mondo.
E ancora, nella tendenza dell'arte di creare illusione, come presentare una tela con un paesaggio, o addirittura, come colori che appaiono su una parete bianca, c'è un infantile rifiuto di accettare le condizioni dell'essere. Le “24 hour paintings”di Alessia Armeni esaminano sia il semplice meccanismo della percezione, attraverso il quale la luce dà forma a tutto ciò che vediamo, sia rappresentandolo offre contemporaneamente un saggio di percezione artistica come processo materiale e insieme trascendentale. Qui risiede una interessante risposta all'interrogativo posto sulla validità della esistenza soggettiva da parte della razionalità: forse l'arte è un processo interamente oggettivo, che nel suo rifiuto di accettare la realtà, ammette la possibilità della soggettività.
Per questa ragione dipingere resta importante, a fianco ad altre forme d'arte, come una ricerca sulla possibilità di essere sé stessi.